La prigione dei desideri.
L’uomo, fin dall’alba dei tempi, è costretto a fare i conti con una molteplicità di sofferenze. Tuttavia, secondo l’antica saggezza vedica, le sorgenti della sofferenza sono essenzialmente tre.
La prima fonte sono le sofferenze inflitte dall’ambiente esterno, includendo anche le persone, gli animali, le piante e i microrganismi. Terremoti, alluvioni, siccità, temperature troppo fredde o troppo calde, malattie virali o batteriche, guerre, violenze e abusi di ogni genere sia sulle piante che sugli animali e, ovviamente, sui nostri simili. E qui, davvero, la storia della nostra specie ci ha ampiamente dimostrato che siamo in grado di raggiugere acclamate vette di “creatività”.
La seconda fonte è il nostro corpo fisico, che venendo gradualmente divorato dalle fauci del tempo (Kala in termine sanscrito), inevitabilmente si deteriora dando origine a sofferenze che vanno dal banale acciacco, a vere e proprie malattie in alcuni casi molto gravi che possono generare sofferenze terribili.
Terza e ultima causa di sofferenza, è qualcosa in cui molti di noi si identificano intensamente. Avete capito di cosa sto parlando, no?
La mente. Risposta corretta.
Vi chiedete mai perché, se ci viene detto che abbiamo un rene malato, non ci arrabbiamo, ma cosa succede quando ci viene indicato che abbiamo una mente malata?
Il fatto è che con la mente, specialmente noi occidentali, ci identifichiamo molto più profondamente che con il corpo. Rimane comunque da chiarire che, per gli antichi saggi della cultura vedica, sia la mente che il corpo non appartengono alla natura reale dell’entità spirituale che è la nostra vera essenza. Essi sono infatti considerati solo degli strumenti necessari per navigare il mondo fenomenico a cui ora apparteniamo, una sorta di tuta spaziale che ci permette di interagire con questa dimensione, attraverso i sensi e le facoltà intellettive.
Ovviamente, avere la presunzione che per porre rimedio alle sofferenze esistenziali dell’uomo basti un articolo come questo, farebbe davvero perdere di credibilità ogni concetto appena esposto; di fatto, noi, attraverso questo Portale web, puntiamo il dito in direzione della luna senza avere la pretesa di potervi fornire la necessaria preparazione tecnica per affrontare un viaggio spaziale diretto alla luna, che evidentemente richiede decisivi sforzi e acquisizione di conoscenze, sia teoriche che pratiche, non indifferenti.
Quindi, limiteremo i nostri tentativi per sottolinearvi alcuni importanti concetti che sono stati tramandati dalla cultura vedica, sperando di non alterarne troppo il significato, dato che questa cultura millenaria ha raggiunto solo da poco le menti degli occidentali, concetti nuovi e del tutto stravolgenti che, se non approfonditi affidandosi a delle guide autorevoli, rischiano di essere snaturati.
I saggi dell’antichità riconobbero le innumerevoli difficoltà che la vita materiale comportava, e cercarono di illuminare il nostro cammino con messaggi importanti che, se appresi fino in fondo e con la dovuta preparazione, avrebbero potuto creare le condizioni necessarie per percorrere il cammino spirituale che rende liberi dalla sofferenza.
Nello specifico, per farci comprendere una delle più importanti cause della sofferenza che ha come campo di sviluppo proprio la mente, i saggi usarono il termine sanscrito: Agni Analam e Kama Agni, che significa fuoco insaziabile o inestinguibile dei desideri; riferendosi appunto a quell’inestinguibile e implacabile sete passionale di continue esperienze sensoriali piacevoli.
Starai pensando: e cosa ci sarebbe di male nello sperimentare ciò che porta piacere ai sensi, attraverso gli oggetti (appunto) del piacere?
Assolutamente nulla, se non fosse per il fatto che questo stato di insaziabile sete, proprio come un fuoco, più viene alimentato e più cresce consumando tutta la legna, richiedendone di continuo dell’altra. Nuovi desideri nascono tanto velocemente quanto quelli vecchi vengono soddisfatti. Dopo aver appagato un desiderio, il nostro appetito per il piacere sensoriale è solo temporaneamente placato, non dovrà passare molto tempo prima che sentiremo il bisogno di soddisfarne ancora.
Il fuoco dei desideri passionali crea così un crescente bisogno di saziarli rendendoci di fatto prigionieri di una successione infinita di voglie che detteranno, con sempre maggiore insistenza, la direzione delle nostre attività quotidiane.
Facciamo un esempio pratico.
Un’occasionale caffe al bar può benissimo essere una piacevole ricompensa che gustiamo di tanto in tanto, ma indulgere frequentemente in tale soddisfacimento ha il potere di trasformare quel piacere, in una necessità che ci obbliga ad andare al bar ogni mattina per bere caffeina.
In questo modo i desideri diventano gradualmente sempre piu’ compulsivi e ossessivi, condizionando maggiormente la nostra libertà.
Quando siamo letteralmente pilotati verso il soddisfacimento compulsivo di questi desideri, siamo come schiavi agli ordini di tali impulsi.
Esiste un modo per evadere da questa prigione che sembrerebbe rinforzarsi con ogni desiderio che viene gettato nel fuoco ardente della brama sensoriale?
Abbiamo capito che gettare più legna nel fuoco dei desideri non estinguerà le fiamme, ma contribuirà ad accrescerne il potere. Provare allora con l’astenersi dal soddisfare questi desideri sembra essere la soluzione più logica, però non funziona. Non gettare più legna nel fuoco non farà spegnere il fuoco e, con il passare del tempo, sarà inevitabile cedere all’insistente forza attrattiva dei desideri.
Secondo la saggezza vedica, la soluzione a questo (apparentemente) intricato problema, va necessariamente ricercata andando alla fonte della causa.
La causa che alimenta questo fuoco insaziabile, che ci condanna alla frustrante e continua ricerca di appagamento di desideri, viene individuata (secondo i veda) con il termine sanscrito Avidya, che significa Ignoranza.
Nello specifico, l’ignoranza della nostra reale natura di entità spirituali.
Secondo i Veda, la reale natura dell’essere vivente è spirituale, ovvero fondamentalmente diversa dal corpo e dalla mente che, come abbiamo sottolineato all’inizio, sono tra le principali fonti di sofferenza.
Sempre secondo la saggezza vedica, che prevede un percorso sperimentale (oltre che teorico) che consente di arrivare a tali conclusioni tramite l’esperienza diretta, la nostra reale natura è SAT-CHIT-ANANDA.
Sat come eterna.
Chit come consapevolezza o coscienza.
Ananda in quanto beatitudine.
Queste sono le tre qualità del Reale.
Nella Bhagavad gita, capitolo 3 verso 39, Sri Krishna spiega che la conoscenza della nostra reale natura spirituale (quindi completa e pienamente appagante), è nascosta da Kama o desiderio egoico, generato appunto dalla mente.
“La conoscenza viene coperta da questo perpetuo nemico sotto forma di un desiderio insaziabile, che non è mai soddisfatto e arde come il fuoco, o figlio di Kunti.” BG 3, 39
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Il Sè spirituale ha la caratteristica di essere di natura eterno e indistruttibile, non soggetto a decadimento fisico, malattia e morte, oltretutto completo e appagante nella sua essenza.
Allora, scoprire e realizzare questo aspetto nascosto della nostra identità, rappresenta la soluzione al problema di come liberarsi dalle catene dei desideri compulsivi che costituiscono la nostra prigione.
Gli insegnamenti tramandati dai testi sacri come la Bhagavad Gita, in sostanza, ci informano che fino a quando ci identificheremo con il corpo e con la mente, ignorando il nostro vero Sé spirituale, non potremo uscire dal Samsara o eterno ciclo di nascita (del corpo), morte (del corpo) e rinascita (in un nuovo corpo); e ci condanna alla interminabile rincorsa di desideri materiali e all’inevitabile incontro con la sofferenza generata dall’essere identificati con un corpo e una mente materiale.
Questo concetto è enunciato nella Bhagavad Gita, capitolo 4 verso 37, quando Sri Krishna rivela che unicamente per merito della conoscenza del vero Sè spirituale, riusciremo a spegnere l’inestinguibile fuoco dei desideri una volta per tutte.
“Proprio come una fiamma ardente riduce la legna in cenere, o Arjuna, così il fuoco della conoscenza trasforma tutte le azioni in cenere.”
Di Marco Valvo
[…] prefissati che nella stragrande maggioranza dei casi consiste nell’arricchire la nostra identità egoica attraverso l’acquisizione di una sempre più crescente quantità di oggetti materiali. Oppure, per […]
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