Il Mahat tattva e l’Internet Cosmico: Perché esiste il male?

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Come si può giustificare l’idea che esista Dio se esiste il male?

Purtroppo, in occidente le istituzioni filosofiche e religiose non hanno saputo rispondere in maniera esaustiva e convincente alla domanda sull’origine e il perché esiste il male.

Questa grave mancanza ha portato molte persone intelligenti ad allontanarsi dalle istituzioni religiose del mondo occidentale che, come ha dimostrato la storia, erano (lo sono tuttora) più interessate a imporre la propria autorità e politica che divulgare autentiche conoscenze spirituali.

Ancora una volta è l’antica saggezza dei Veda a fornirci una visone del tutto affascinante, in grado di rispondere a questa domanda cruciale.

Perché esiste il male?

Ma prima di andare avanti vorrei sottolineare che non abbiamo affatto la presunzione che ciò che stiamo per esporvi sia la verità assoluta. Quello che ci interessa è darvi la possibilità di esplorare a livello introduttivo, queste antiche conoscenze, dopodiché farete le vostre considerazioni, ed eventualmente approfondimenti.

Detto questo, cominciamo col capire dove siamo secondo la cosmologia vedica.

Nella manifestazione cosmica che prevede innumerevoli dimensioni spirituali, c’e una zona chiamata universo materiale. Il termine sanscrito è mahat tattva, dove è possibile oscurare la percezione. In questo momento noi ci troviamo in questa zona.

Ma in che cosa si differenzia precisamente questa zona rispetto al resto della manifestazione cosmica?

Nella cultura Vedica, i Tre aspetti del Divino danno origine all’Universo. Brahma è considerato il creatore, Vishnu il conservatore e Shiva il distruttore. Vishnu, in particolare, se facessimo un paragone con la terminologia di Star Wars, è la Forza, colei che pervade ogni cosa, dagli esseri viventi al resto contenuto nell’universo intero, ed è caratterizzata da due poli (in oriente Yin e Yang), definiti lato Oscuro e lato Charo della Forza. Questa definizione ci aiuta a comprendere meglio il significato di Vishnu e quanto diremo lungo questo articolo (a questo link maggiori info).

Dunque, in questa dimensione materiale, noi possiamo sperimentare il lato oscuro della forza. Mentre nella dimensione spirituale, o lato chiaro della Forza (Vishnu), l’essere vivente ha una percezione e consapevolezza completa su ogni aspetto dell’esistenza; nel mahat tattva, invece, l’essere vivente acquisisce un corpo materiale, le energie intellettuali ed emotive che lo limitano sia nello spazio che nel tempo ma, soprattutto, nelle percezioni.

Nelle dimensioni spirituali, noi non possiamo provare il senso di separazione e del finito, perché la nostra consapevolezza è costantemente interconnessa con l’intelligenza creativa primordiale divina (DIO), che ha generato e genera ogni cosa.

Avrete sentito parlare dell’illuminazione del Buddha. Altro non è che la ri-connessione della coscienza individuale con quella onnipervasiva della forza creativa universale.

Una volta entrati nel mahat tattva o energia materiale, perdiamo temporaneamente la connessione con l’internet spirituale e iniziamo a recitare una parte in cui crediamo di essere entità separate dal resto della creazione.

Complice di questo scherzo è la ahankara o coscienza egoica, che facente parte del nostro involucro materiale divide il mondo in “Io“e “Mio”, oscurando le nostre percezioni, così che l’illusione possa compiersi.

L’Etimologia della parola Diavolo, attraverso il latino ecclesiastico diabolus, dal greco diàbolos, significa propriamente ‘ingannatore, separatore’.

L’ahankara, infatti, consente all’anima di relazionarsi in maniera del tutto nuova con gli oggetti percepiti. Per la prima volta esiste una percezione di una relazione illusoria in cui il soggetto è separato dall’oggetto. In realtà, tutto è parte integrante di un campo energetico infinito e cosciente, che gli scienziati della fisica quantistica chiamano “unified field”, e vibra a frequenze diverse, compresi noi; ma l’ahankara lavorando con chitta, l’aspetto emotivo della mente, può portare l’anima a cadere nell’illusione.

Ad esempio, se ahankara si identifica con una cosa, allora chitta può incitare una risposta emotiva. In tal modo l’anima, o sé spirituale, si lega all’oggetto nella concezione di io e mio. L’ego permette, quindi, al sé spirituale di vivere nel mondo, immergendosi nell’illusione al punto tale da compiere anche azioni adharmiche o nocive agli altri, poiché percepiti come separate da noi stessi.

In questa dimensione, attraverso la coscienza egoica, possiamo sperimentare, e in un certo senso siamo indotti a farlo, emozioni e azioni che hanno come scopo quello di manipolare l’energia materiale che comprende non solo oggetti inanimati, ma anche piante, animali e altri esseri umani, per trarne un vantaggio personale.

Un’altra importante differenza è quella che, in questa dimensione, possiamo nascondere informazioni, cosa che nella dimensione spirituale (chiamata VaiKuntha) non può avvenire, poiché tutti sono a conoscenza di tutto attraverso “l’internet cosmico” chiamato in sanscrito Akasha.

Vi sto dicendo che, secondo i Veda, tutte le entità spirituali che non sono nel mahat tattva (il luogo in cui viviamo), oltre a non possedere un corpo materiale che li limita nello spazio e nel tempo, sono onniscienti e telepatiche. Cercare di mentire sarebbe quindi del tutto inutile.

Nel mahat tattva ci sono i presupposti per dare inizio al gioco sporco delle manipolazioni, omissioni, dichiarazioni false, imbrogli, violenze e abusi; si può arrivare agli obbiettivi prefissati che nella stragrande maggioranza dei casi consiste nell’arricchire la nostra identità egoica attraverso l’acquisizione di una sempre più crescente quantità di oggetti materiali. Oppure, per allargare la nostra sfera di potere al fine di poter meglio manipolare l’energia materiale a nostro ed esclusivo vantaggio.

Vi ricordo anche che solamente in questa dimensione si può cercare di ottenere ciò che si vuole minacciando di punire fisicamente, torturare o uccidere qualcuno se non fa quello che vogliamo, poiché solo qui possediamo un corpo fisco fatto di carne, sangue, nervi e ossa che risponde a stimoli fisici e che può essere distrutto.

Vi starete chiedendo come mai esista una zona nella manifestazione cosmica dove sia possibile sperimentare il lato oscuro della forza, in cui ogni azione genera una reazione che ci ritorna indietro attraverso le leggi cosmiche del Karma.

La risposta è più semplice di quanto si creda: non possiamo conoscere veramente cosa sia la luce senza il buio.

Per definire cosa siamo, dobbiamo conoscere cosa non siamo.

In questo i Veda ci offrono un’importante visione, in cui l’essere spirituale può decidere di compiere un viaggio esplorativo all’interno di una dimensione che chiamiamo per comodità oscura, che ha delle dinamiche del tutto opposte a quelle originali.

Nella Bhagavad Gita, Capitolo 2 Verso 13, Sri Krishna spiega che ogni essere vivente è in realtà un’anima spirituale, distinta da tutte le altre. A ogni istante l’anima cambia corpo e si manifesta nella forma di un bambino, di un adolescente, poi di un adulto e, infine, di un vecchio. Ma l’anima rimane sempre la stessa e non subisce alcun cambiamento. Infine, alla morte del corpo, l’anima trasmigra in un altro involucro.

Sapendo che l’anima si rivestirà sicuramente di un altro corpo, materiale o spirituale, per una nuova vita, Arjuna non ha valide ragioni di lamentarsi sul destino di Bhisma e Drona suoi avversari in battaglia e cugini. Anzi, secondo Krishna, dovrebbe allietarsi del fatto che se venissero uccisi, cambieranno il loro vecchio corpo con uno nuovo, rinnovando le loro energie.

Gioie e sofferenze variano con i nostri corpi, perché sono il risultato delle nostre azioni passate.

“Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. L’anima realizzata non è turbata da questo cambiamento”. Bhagavad Gita

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Sostanzialmente, questa dimensione ci consente di sperimentare dinamiche illusorie del tutto inesistenti nelle dimensioni puramente spirituali, tali sono la nascita, la crescita, il senso di appartenenza a una famiglia o a una nazione, il dolore, l’identificazione con un corpo organico mortale che ha un inizio e una fine, il gusto per la beffa, le perversioni, il piacere sessuale, e cosi via.

Concludendo, possiamo affermare che, secondo i Veda, non bisogna stupirsi se esiste quello che noi percepiamo come il male, poiché questa dimensione è in parte concepita per farceLo sperimentare, per comprendere a fondo le sue dinamiche e i suoi effetti.

Attenzione però, il verdetto dei Veda è che è bene non soggiornare questi mondi materiali in eterno, dato che non si può trovare la vera felicita e l’appagamento in modo assoluto.

Proprio come un pesce saltato fuori dall’acqua e finito su terreno soffre, così noi, la cui vera natura è quella di Esseri Spirituali, non appartenendo a questa dimensione, soffriamo se non siamo in grado di ritornare in acqua.

 

di Marco Valvo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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